IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE DINNANZI AL GIUDICE AMMINISTRATIVO FRANCESE (Suite)

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C. Una consacrazione costituzionale nell'ambiguità semantica

In meno di 20 anni, dopo l'inserimento, avvenuto con la legge Barnier del 2 febbraio 1995, del principio nel nostro diritto positivo, il principio di precauzione non ha cessato di salire nella gerarchia delle norme francesi.

Nel 2001, il Presidente della Repubblica evocava un ideale secondo il quale «l'ecologia ed il diritto ad un ambiente protetto e preservato devono essere considerate alla stessa stregua delle libertà pubbliche» (Discorso pronunziato da Jacques Chirac, Presidente della Repubblica, a Orléans il 3 maggio 2001). Impegnandosi sulla questione dell'ambiente, egli augurava l'adozione, da parte del Parlamento, di una Carta allegata alla Costituzione, e la consacrazione dei principî fondamentali necessarî alla preservazione dell'ambiente. Il Presidente ha poi riaffermato tale volontà nel discorso di Avranches, del 18 marzo 2002, consacrato all'ambiente, durante la campagna per l'elezione presidenziale del 2002 (Con la lettre de mission (lettera di conferimento dell'incarico) del 8 luglio 2002, il Ministro dell'Ecologia e dello sviluppo sostenibile (Ministre de l'Ecologie et du Développement durable) a conferito a Yves Coppens, professore di paleontologia al Collège de France, la presidenza della commissione incaricata di elaborare la Carta dell'ambiente. Come risulta dalla stessa lettera, i lavori della commissione avevano per obiettivo quello di portare “al livello costituzionale dei principî fondamentali di diritto la protezione dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile [...], ponendo l'uomo innanzi alle sue responsabilità”. La Carta così elaborata doveva essere “il fondamento di un nuovo equilibrio tra il progresso sociale e la protezione dell'ambiente” (Lettre de mission indirizzata da Roselyne Bachelot-Narquin al professor Yves Coppens). La « Commissione Coppens » - composta per la maggior parte da scienziati, mentre non vi erano tra i membri che due soli giuristi - che riteneva, all'origine, di essere incaricata alla produzione di un mero rapporto preliminare, si ritrovò, invece, a rivestire un ruolo costituente. Ciò ha, peraltro, consentito di sollevare alcuni dubbî quanto alla legittimità della Commissione a ricoprire tale ruolo. Per colmare le sue lacune, la commissione si è avvalsa di numerosi comitati specializzati soprattutto nelle questioni giuridiche. Occorre rilevare pure che la procedura di elaborazione di questo progetto comportava diverse consultazioni nazionali e regionali, rispetto alle quali la dottrina ha lamentato la parzialità delle analisi compiute. Parallelamente, hanno avuto luogo dei laboratorî regionali, con il compito di individuare dei punti fermi in materia ambientale in ambito regionale. In questo caso è il carattere imposto dei temi di discussione che è stato oggetto di critica da parte della dottrina. Così, dopo 8 mesi di dibattito, la Commissione Coppens reso il suo progetto di Carta al governo. Il progetto della Commissione Coppens ha indubbiamente e nettamente influenzato la Carta poi adottata dal Congresso: L'architettura generale, vale a dire una esposizione dei motivi seguita dalla proclamazione dei diritti e dei doveri, è rimasta pressoché inalterata, così come è stata conservata la maggior parte dei principî proclamati. Possiamo tuttavia notare come il Parlamento abbia scartato la nozione di democrazia partecipativa, che la commissione associava al diritto di partecipazione). Così, non essendo state apportate che poche modifiche, il dibattito nelle due Camere del Parlamento fu piuttosto rapido (Sono bastati tre giorni all'Assemblea Nazionale (25 et 26 maggio et primo giugno 2003), e solamente due al Senato (23 et 24 giugno)). Finalmente, in occasione della riunione del Congresso del 28 febbraio 2005, la Carta costituzionale per l'ambiente fu adottata, con quasi il 95% dei suffragî espressi in suo favore.

Così, con la legge costituzionale n. 205/2005, promulgata il primo marzo 2005, la Carta dell'ambiente è stata allegata alla costituzione del 1958. Essa figura,nel Preambolo, accanto alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 ed ai diritti sociali del Preambolo del 1946. Questo inserimento nel preambolo della Costituzione è, quindi, un gesto simbolicamente forte per l'affermazione dei diritti ambientali, che figurano ormai nel rango costituzionale, alla sommità della gerarchia delle norme. Ricordiamo, infatti, che, nella sua decisione “liberté d'association” (Cons. const., déc. n° 71-44 DC, 16 juill. 1971 : Rec. Cons. const. 1971, p. 29) del 1971, il Consiglio costituzionale a riconosciuto esplicitamente un valore costituzionale al Preambolo.

Tuttavia, la definizione di Carta “allegata” («adossée») alla Costituzione ha prestato il fianco ad una certa confusione circa il reale valore che il Costituente ha voluto attribuire al testo in esame. Infatti, il fatto di “allegare” la Carta, pone quest'ultima in una situazione ambigua rispetto al testo costituzionale, trovandosi allo stesso tempo al di fuori ed all'interno del testo. Notiamo, peraltro, che anche il termine “Carta” («Charte») è stato, a sua volta, criticato, in quanto sembrerebbe richiamare l'idea di un testo adottato da una volontà regia, escludendo la sovranità nazionale.

Trattandosi di un testo autonomo, la Carta è composta da una esposizione dei motivi e da dieci articoli proclamanti diritti e doveri. L'art. 5 è dedicato al principio di precauzione (“Articolo 5. Quando la realizzazione di un danno nei confronti dell'ambiente, benché incerta allo stato delle conoscenze scientifiche, potrebbe arrecare un compromettere in maniera grave e irreversibile l'ambiente, le autorità pubbliche garantiranno, in ragione del principio di precauzione e nell'ambito delle loro rispettive attribuzioni, all'applicazione di procedure di valutazione dei rischi e all'adozione di provvedimenti provvisori e adeguati al fine di porre rimedio al danno”).

Per quanto riguarda quest'ultimo, bisogna notare che se il Congresso ha deciso di elevarlo al rango di norma costituzionale, il Consiglio costituzionale aveva, fino ad allora, rifiutato di accordargli tale riconoscimento. Infatti, dopo una decisione del 2001 (Décision « IVG » n°2001-446 DC del 27 giugno 2001), i membri del Consiglio costituzionale (“les Sages”) avevano rifiutato di collocare questo principio tra gli obiettivi di valore costituzionale.

Un altro effetto collaterale della Carta ha riguardato la competenza normativa. Per molto tempo, in materia ambientale, non è stata fatta alcuna precisazione quanto alla ripartizione delle competenze tra il Parlamento ed il Governo. Così, la questione era stata risolta con il ricorso agli articoli 34 e 37 della Costituzione del 1958. In tale quadro, il Parlamento è competente per le misure che possono pregiudicare i diritti fondamentali e le libertà pubbliche. Ora, il diritto dell'ambiente ha fatto ricorso enormemente alle cosiddette servitù d'utilità pubblica (NDT Le cosiddette “servitù d'utilità pubblica”, previste dal diritto francese, consistono in limiti imposti dalla pubblica amministrazione al diritto di proprietà ed all'uso del suolo da parte dei privati per motivi di utilità pubblica, quali la difesa del patrimonio culturale, la difesa nazionale, la salute e la sicurezza pubblica, ecc) - ed alle cosiddette regole di polizia e sicurezza che, per principio, si impongono ai cittadini e si confrontano con i loro diritti e le loro libertà.

Dal 2005, la competenza del Parlamento in materia ambientale è stata precisata. Infatti, al di là dell'articolo 7 della Carta dell'ambiente del 2004, che rinvia alla legge per l'organizzazione dell'informazione e la partecipazione del pubblico, la revisione costituzionale del primo marzo 2005 (Legge costituzionale n° 2005-205, relativa alla Carta dell'ambiente) ha modificato l'articolo 34 della Costituzione. Quest'ultima precisa, ormai, che «la legge determina i principî fondamentali in materia di tutela dell'ambiente» (comma 3, n. 4 (N.D.T. Art. 34: «Comma 1. La legge fissa le regole concernenti: 1) i diritti civici e le garanzie fondamentali accordate ai cittadini per l'esercizio delle libertà pubbliche; la libertà il pluralismo e l'indipendenza dei mezzi di informazione; le soggezioni imposte dalla Difesa nazionale ai cittadini nella loro persone e nei loro beni; 2) la nazionalità, lo stato e la capacità delle persone, i regimi matrimoniali, le successioni e le liberalità; 3) la determinazione dei crimini e dei delitti, così che delle pene che sono loro applicabili; la procedura penale; l'amnistia; la creazione di nuovi ordini di giurisdizione e lo statuto dei magistrati; 4) l'assetto, il tasso e le modalità di copertura delle imposte di qualunque natura; il regime di emissione della moneta. Comma 2. La legge fissa egualmente le regole concernenti: 1) il regime elettorale delle assemblee parlamentari, delle assemblee locali e delle istanze rappresentative dei Francesi stabilitisi fuori dalla Francia, così come le condizioni di esercizio dei mandati elettorali e delle funzioni elettive dei membri delle assemblee deliberanti delle collettività territoriali; 2) la creazione di categorie d'istituti pubblici; 3) le garanzie fondamentali accordate ai funzionarî civili e militari dello Stato; 4) la nazionalizzazione delle imprese e i trasferimenti di proprietà delle imprese dal settore pubblico al settore privato. Comma 3. La legge determina i principî fondamentali: 1) dell'organizzazione generale della Difesa nazionale; 2) della libera amministrazione delle collettività territoriali, delle loro competenze e delle loro risorse; 3) dell'insegnamento; 4) della preservazione dell'ambiente; 5) del regime della proprietà, dei diritti reali e delle obbligazioni civili e commerciali; 6) del diritto del lavoro, del diritto sindacale e della sicurezza sociale. Comma 4. Le leggi finanziarie determinano le risorse e i carichi dello Stato nelle condizioni e sotto le riserve previste da una legge organica. Comma 5. Le leggi di finanziamento della sicurezza sociale determinano le condizioni generali del suo equilibrio finanziario e, tenuto conto delle loro previsioni di entrata, fissano gli obiettivi di spesa, nelle condizioni e sotto le riserve previste da una legge organica. Comma 6. Delle leggi di programmazione determinano gli obiettivi dell'azione dello Stato. Comma 7. Gli orientamenti pluriannuali delle finanze pubbliche sono definiti da leggi di programmazione. Esse s'iscrivono nell'obiettivo dell'equilibrio dei conti delle amministrazioni pubbliche. Comma 8. Le disposizioni del presente articolo possono essere precisate e completate da una legge organica». Art. 37: «Comma 1. Le materie diverse da quelle che rientrano nell'ambito della legge hanno un carattere regolamentare. Comma 2. I testi di forma legislativa intervenuti in queste materie possono essere modificati con decreto adottato previo parere del Consiglio di Stato. Esse entrano in vigore al momento della loro pubblicazione, ma divengono caduche se il progetto di legge di ratifica non è depositato davanti al Parlamento prima della data fissata dalla legge di abilitazione. Non possono essere ratificate che in maniera espressa. Comma 3. Alla espirazione del termine menzionato al primo comma del presente articolo, le ordinanze non possono più essere modificate che dalla legge nelle materie che sono di ambito legislativo»)). Questa disposizione ha per conseguenza di restringere il campo d'azione del Parlamento in materia ambientale (Il Parlamento deve ormai rinunciare al presidio unico dei principî fondamentali, non potendo più fornire precisazioni preliminari in ordine alle modalità più concrete. Per l'aspetto pratico della applicazione delle norme, infatti, la legge deve oggi rinviare a dei decreti di applicazione. Numerosi decreti devono allora essere adottati dal Governo. Ciò può, tuttavia, prendere tempo, e ritardare così l'applicazione effettiva della legge. A titolo di esempio possiamo richiamare la legge « engagement national pour l'environnement », del 12 luglio 2010, detta « Grenelle 2 », la quale ha rinviato la sua attuazione a circa 200 decreti di applicazione. Un anno dopo la sua promulgazione solamente il 20% dei provvedimenti regolamentari di applicazione erano stati pubblicati. Circa due anni e mezzo dopo la promulgazione è ancora la metà dei decreti che non è stata pubblicata. Sotto un altro punto di vista, il ricorso obbligatorio ai decreti di applicazione permette al Governo di fornire la sua interpretazione al testo, ed eventualmente di « nuancer les ardeurs de la loi » (R.ROMI, Droit de l'environnement, 2010, settima edizione, p.23)).

L'introduzione della Carta nell'ordinamento è, poi, arrivata all'attenzione della giurisprudenza. L'apporto di quest'ultima rispetto alla Carta dell'ambiente si può apprezzare da due punti di vista: il valore dato al testo dai giudici e l'invocabilità del testo all'interno di una controversia.

Quanto al valore dato al testo, l'analisi delle decisioni già esistenti, segnatamente quella del 1971 «Liberté d'association» (Cons. cost., dic. n. 71-44 DC, 16 luglio 1971: Ric. Cons. cost. 1971, p. 29), permetteva di presagire che il Consiglio Costituzionale avrebbe riconosciuto senza difficoltà un valore costituzionale alla Carta. Le decisioni giurisprudenziali seguite all'adozione della Carta da parte del Congresso non hanno, sul punto, rivelato alcuna sorpresa.

Infine, l'introduzione nel 2008 dell'articolo 61-1 in seno alla Costituzione, che prevede la possibilità di un controllo di costituzionalità delle leggi in via pregiudiziale, offre un nuovo livello di protezione del diritto dell'ambiente (cfr. infra).

Infatti, ormai ogni imputato o parte processuale può far valere, nel corso di un processo, l'offesa portata da una disposizione legislativa ad un diritto o una libertà fondamentale garantita dalla Costituzione. Ciò permette di eliminare dall'ordinamento disposizioni contrarie alle garanzie offerte dalla Carta dell'ambiente (Alla fine del 2012, 248 QPC (Questioni Pregiudiziali di Costituzionalità) sono state esaminate dal Conseil constitutionnel, tra le quali una dozzina hanno riguardato l'ambiente. Se la dottrina si aspettava un afflusso abbondante di QPC in materia, possiamo in realtà constatare un aumento progressivo del numero di questioni sollevate (cfr. S. SAINT-GERMAIN, L'invocation de la Charte de l'environnement dans le procès administratif, in Rev. Environnement de Développement durable, n° 12, Dicembre 2012)).

Malgrado le sue difficoltà d'integrazione, il riconoscimento del rango costituzionale del principio di precauzione (e la conseguente sua collocazione alla sommità della nostra gerarchia delle norme), non pone dunque alcun dubbio.

II. UNA INVOCABILITÀ IN AUMENTO, MA LIMITATA

Principio di rango costituzionale, il principio di precauzione è oggi utilizzato abbondantemente nei procedimenti giurisdizionali, soprattutto in quelli davanti al giudice amministrativo, nei riguardi degli atti dell'amministrazione.

Per altro verso, la sua utilizzazione pratica diretta, segnatamente come mezzo d'annullamento, resta difficile (A). Tuttavia la sua invocabilità diretta, ammessa progressivamente e costantemente dal giudice, gli conferisce una efficacia crescente (B), sia pur contrastata dal limite degli interessi economici e sociali maggiori (C).

A. La difficile invocabilità diretta

Le difficoltà della giurisprudenza nell'ammettere il principio di precauzione

Se il principio di prevenzione è utilizzato da molto tempo con successo, essendo il rischio, quando autentico, facile da dimostrare (perizie, constatazioni dell'ufficiale giudiziario, precedenti giurisprudenziali...), il principio di precauzione non è così semplice da invocare efficacemente.

Il Consiglio costituzionale rifiutò di riconoscergli, prima della entrata in vigore della Carta, nel 2001, il rango di obiettivo di valore costituzionale (CC 27 giugno 2001 déc. DC 2001-446) («Considerando che, contrariamente a ciò che affermano i requirenti, il principio di precauzione non costituisce un obiettivo di valore costituzionale»).

Senza dubbio il Consiglio di Stato (Decisione del 25 settembre 1998, requête n°194348) è andato, in primo tempo, più lontano, facendo del principio in esame un mezzo serio, nel quadro della vecchia procedura per l'ottenimento della sospensiva (“Considerando che le associazioni summenzionate [...] invocano il principio di precauzione enunciato all'art. L. 200-1 del codice rurale e le disposizioni tanto di cui all'articolo 15 della legge del 13 luglio 1992 che di cui all'art. 6-1 aggiunto al decreto succitato del 18 maggio 1981 dal decreto del 18 ottobre 1993 [...]; che tale mezzo sembrerebbe, allo stato dei fatti, serio e di natura idonea a giustificare l'annullamento del provvedimento impugnato; che volgendo lo sguardo, per altro verso, alla natura delle conseguenze che l'esecuzione del provvedimento attaccato potrebbe comportare, si ritiene preferibile, viste le circostanze, dare seguito alle conclusioni dell'associazione richiedente in merito alla richiesta di sospensione all'esecuzione del provvedimento”), ma qualche anno più tardi, nel 2006, rifiutò una invocazione troppo imprecisa del principio (Conseil d'Etat 4 agosto 2006, Comité de réflexion, d'information et de lutte antinucléaire, requête 254948, con nota di Manuel GROS, Revue Droit de l'environnement, n°144 p. 365) : «considerando che l'argomento secondo il quale il decreto impugnato contraddirebbe l'art. 12 della direttiva “Seveso II” e i principî di precauzione e prevenzione definiti al secondo comma dell'art. L 110-1 del codice dell'ambiente non presentano una precisione sufficiente al punto di consentire di apprezzarne la fondatezza». E questo nel quadro di una giurisprudenza classica nella quale l'imprecisione dell'argomento, da distinguere dall'imprecisione dello stesso principio invocato, è una costante giurisprudenziale di rigetto del ricorso (Cf. Conseil d'Etat 30 marzo 2005, Association pour la protection des animaux sauvages, requête n° 249066.).

Senza dubbio l'intervento della Carta condusse il Consiglio di Stato per tre volte, nel 2006 e nel 2007, a rivedere la sua posizione di principio e a prendere in considerazione l'argomento della violazione del principio di precauzione (Conseil d'Etat 18 dicembre 1964, Ets Omer Decugis R.64.669 ; CE 30 marzo 2005, Association pour la protection des animaux sauvages ; CE 2 febbraio 2007, Association convention vie et nature pour une écologie radicale, req. 189758: “considerando la data prevista dal provvedimento non trascurava l'obiettivo della protezione complete fissata da questa ; che, in seguito e in secondo luogo, essa non saprebbe diconoscere il principio di precauzione formulato nella Carta”) previsto dalla Carta stessa così come all'articolo L 110-1 del codice dell'ambiente, ma ciò non comporta un'efficienza sistematica della invocazione del detto principio quando viene sollevato, sic et simpliciter, davanti al giudice.

In tutta evidenza l'utilizzazione nel contenzioso - quantomeno nella forma diretta - resta difficile in concreto, se essa viene semplicemente proposta al giudice senza quella precisione specifica che consenta al giudice di rilevare la violazione del principio. La giurisprudenza attuale in materia di antenne ricetrasmittenti di telefonia mobile (cfr. infra, C) ne è rivelatrice.

Le ragioni della difficoltà di applicazione del principio di precauzione

Il principio di precauzione, pur ammettendo la bontà del suo contenuto e la sua funzione teleologica, talvolta inquieta più di quanto non rassicuri.

In primo luogo consente al giudice di esercitare un controllo di opportunità che non gli spetterebbe. Infatti, quando è utilizzato - dagli abitanti o dalle associazioni di difesa - contro l'amministrazione, per rimproverarle una “mancanza di precauzione”, esorbita dal campo di applicazione del controllo esercitato dal giudice sulla opportunità di una misura amministrativa. Infatti, la cosiddetta substitution d'appréciation (Letteralmente “sostituzione dell'apprezzamento”, tecnica consistente nella adozione, da parte del giudice, di una decisione discrezionale che sarebbe altrimenti spettata all'amministrazione e che corrisponde, grossomodo, a quella utilizzata per le decisioni assunte nell'ambito della “giurisdizione di merito” nel diritto italiano) non può essere ammessa se non entro certi limiti legati, da una parte, a una realtà fattuale relativamente oggettiva e, dall'altra parte, nella sua formulazione negativa, mediante l'eliminazione del “cattivo” apprezzamento amministrativo.

Il controllo “di precauzione”, al contrario, riposa su di una incertezza fattuale (essendo l'incertezza scientifica condizione della precauzione, contrariamente a quanto avviene con la prevenzione) e non consentirebbe l'eliminazione di una delle soluzioni possibili, imponendosi cioè una soluzione...di precauzione. Così nel caso degli O.G.M. (CE, 25 septtembre 1998, Greenpeace : Dr. adm. 1998, comm. n° 310; Conseil d'Etat 24 febbraio 1999, Sté Pro-Nat : Dr. adm. 1999, comm. n° 239), il ricorrente rimproverava una autorizzazione per l'immissione nel mercato di semente di mais transgenico in nome dell'assenza di certezze scientifiche, segnatamente circa l'impatto sulla sanità pubblica del gene della resistenza alla ampicillina (NDT Antibiotico attivo su alcuni batterî che causano un'ampia gamma di infezioni delle vie respiratorie, intestinali ed urinarie, nonché otiti) contenuto nelle varietà contestate. Nei loro ricorsi risarcitorî le prime vittime dell'amianto (TA Marseille, 30 maggio 2000, Mme Bourdignon et Mme Botella c. / Ministère de l'emploi et de la solidarité, n° 99-6941 et 97-5988; CAA Marseille, 18 ottobre 2001, 2 esp., concl. L. Benoît, Environnement, 2002, n° 1, chron. n° 1, p. 8) - alla metà del ventesimo secolo - rimproveravano anche l'assenza di perizie scientifiche in Francia, quando invece già ve ne erano numerose, alla stessa epoca, in gran Bretagna. Nella questione delle antenne ricetrasmittenti di telefonia mobile (cfr. infra, C) l'“effetto nocebo” (NDT Neologismo, individuato come contrario di “placebo”, con il quale si indicano le reazioni negative che un soggetto manifesta a seguito della somministrazione di un falso farmaco completamente innocuo, ma da egli percepito come nocivo) è tale che i ricorrenti sostituiscono la loro analisi del sito a quella dei tecnici e dell'amministrazione.

Come vediamo, in un contesto di inerzia amministrativa (per ignoranza o insufficienza di perizie), il giudice subentra in sostituzione di una attività positiva dell'amministrazione che è risultata carente (perizie più approfondite nel caso dei geni transgenici, più tempestive nel caso degli effetti dell'amianto). Questa sostituzione di ciò che si sarebbe dovuto fare in luogo di ciò che non è stato fatto esorbita dal potere devoluto al giudice, anche qualora tale sostituzione avvenga con un “giudizio di proporzionalità” nell'ambito del cosiddetto “giudizio di utilità pubblica” qualificato significativamente in dottrina anche come “contrôle maximum” (NDT Il “controllo massimo” era già stato definito dall'Autore, in questo stesso saggio, nella nota numero 6. In ogni caso si tratta di un controllo caratterizzantesi per la sua estrema pervasività e che consiste nella verifica, da parte del giudice amministrativo, del rapporto dato tra i vantaggî e gli incovenienti prodotti da un provvedimento della Pubblica Amministrazione, di tal guisa che i vantaggî dell'atto siano superiori all'insieme degli inconvenienti, rilevando la mancanza della finalità della utilità pubblica - e dunque l'annullamento dell'atto per ragioni di “opportunità” (ovverosia di “merito”) - nel caso di esito negativo dell'accertamento) (controllo massimo). Proprio l'esempio del giudizio di utilità pubblica servirà ad illustrare la deriva intrapresa nei giudizî incentrati sul principio di precauzione.

Il giudizio “normale” di utilità pubblica, come illustrato nella sentenza “Ville nouvelle Est” (CE, 28 maggio 1971, Ville nouvelle Est : Rec. CE, p. 409, concl. Braibant), da un lato accerta tale utilità in un contesto fattuale - almeno in teoria - conosciuto, mentre dall'altro si accontenta di eliminare questa o quella scelta amministrativa che non rileva d'utilità pubblica, in ragione di un bilanciamento d'esito negativo tra vantaggi e inconvenienti. La logica della precauzione, invece, condurrà il giudice, ad esempio in materia di linee ad alta tensione, a dare ragione alla scelta dei ricorrenti di interrare le suddette linee, contro la scelta della pubblica amministrazione di tracciare delle linee aeree, in nome del rischio incerto che tali linee aeree genererebbero per la sanità pubblica. In altri termini, la soggettività dell'apprezzamento incerto, in nome del principio di precauzione, si sostituirebbe a un controllo effettuato sulla base di scelte tecniche, se non certe, quanto meno già note.

Oltre al rischio di un giudizio di opportunità eccedente dai limiti, e sempre nello stesso registro di un “contrôle maximum” da parte del giudice, il giudizio incentrato sul principio di precauzione creerebbe anche il rischio di un giudizio di proporzionalità di tipo inedito, forse eccessivo. Considerando questa volta il punto di vista di chi trarrebbe profitto dalla non applicazione di misure di precauzione (l'exploitant), è la proporzionalità della stessa misura di precauzione che potrebbe essere contestata. Fino ad epoca recente la polizia amministrativa speciale era estranea a questo tipo di controllo, riservato alla sola polizia generale, nella quale le misure di polizia dovevano essere proporzionate a quanto era necessario per il mantenimento dell'ordine pubblico (CE, 19 maggio 1933, Benjamin : Rec. CE, p. 541). Sicuramente, in certi ambiti specifici, come il diritto degli stranieri, specialmente sotto la pressione dei principî imposti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), il Consiglio di Stato ha potuto estendere il giudizio di proporzionalità a certe misure prese nell'ambito della polizia speciale, con particolare riguardo al rifiuto del Visto (CE, 10 aprile : Aykan : Rev. adm. 1992, p. 416, con nota di H. Ruiz-Fabri); ma si tratta, comunque, di ipotesi eccezionali.

Il controllo esercitato fino ad ora in materia di polizia speciale è il cosiddetto “contrôle restreint” (NDT Letteralmente “controllo stretto”, consistente in un giudizio di legittimità, contrapposto al già citato “contrôle maximum”, che è invece un giudizio di merito), giudizio di legittimità. Numerosi sono gli esempî di giudizio di legittimità sugli atti della polizia speciale (CE, 30 gennaio 1991, min. équip. c/ ch. synd. fr. de l'affichage, Rec. CE, p. 33 ;- 13 novembre 1992, Sté Affichage Finchetti, Rec. CE, tables, p. 727); e per quanto riguarda gli ambiti toccati dal principio di precauzione, come esempio può farsi quello dell'immissione nel mercato dei prodotti farmaceutici (CE 25 aprile 1958, Société laboratoire Geigy). La nuova funzione giurisdizionale del famoso principio in esame porterà, naturalmente, i litiganti, stavolta in nome del perseguimento del profitto, della libertà di commercio e dell'industria, del principio della certezza del diritto, del diritto al lavoro ... a domandare l'adeguamento delle misure ai fatti, pur sempre in nome del principio di precauzione.

Più grave, infine, è senz'altro il vuoto giuridico che risulterebbe da una utilizzazione generalizzata e eccessiva del principio di precauzione. Uno dei suoi ambiti potenziali di applicazione potrebbe essere, per esempio, quello della responsabilità medica. Quest'ultima ha conosciuto, come noto, una doppia ed essenziale evoluzione: tanto a livello della responsabilità per colpa, rispetto alla quale è stata abbandonata la strada della colpa grave, a beneficio di una colpa semplice (CE Ass. 10 avril 1992, "époux V." Rec. CE, p. 171 ; AJDA 1992, p. 355, concl. Legal; RFD adm. 1992, p. 571, concl. JCP G 1992, II, 21881, note J. Moreau), generalmente ammessa ed espressa in giurisprudenza con la tipica formula “faute de nature à engager la responsabilité de ...” (Lett. “colpa di natura tale da implicare la responsabilità di ...”); quanto a livello della valutazione del rischio che si è fatto correre al paziente (con ammissione di un aumento consentito del rischio in caso di operazione eccezionale effettuata mediante una nuova tecnica (CAA Lyon, 21 dicembre 1990, Gomez : Rec. CE, p. 498)), soprattutto in caso di rischio eccezionale (CE, Ass., 9 aprile. 1993, Bianchi : Rec. CE, p. 127) (NDT Il rischio eccezionale è così definito da M. Paillet, A propos de l'arrêt Bianchi, observation sur la responsabilité hospitalière pour risque exceptionnel, RDP, n. 4, 1993, pp 1099 ss. : «è un rischio la cui realizzazione è eccezionale, vale a dire del tutto inabituale rispetto all'evoluzione normale che conosce un paziente sottoposto a un esame od a un trattamento medicale»). Queste evoluzioni, senz'altro necessarie nel rifiuto sociale - e quindi giurisprudenziale - di vedere, salvo casi di esclusione della colpa, la vittima assumersi il peso del proprio pregiudizio, sarebbero private di contenuto se associassimo loro il principio di precauzione. Così si avrebbe rischio eccezionale nei casi in cui una patologia fosse suscettibile di essere scoperta solo a condizione di utilizzare tutti i mezzi della scienza medica - come avvenuto esattamente nel caso “Bianchi”, poiché una iper-allergia allo iodio sarà diagnosticata solo utilizzando tutto l'arsenale dei mezzi diagnostici esistenti -, il quale tuttavia si trasformerebbe da rischio eccezionale in rischio di incidente operatorio o di alea terapeutica se il principio di precauzione permettesse di integrare l'incertezza scientifica. Questa generalizzazione, iniziata nel campo particolare dell'anestesia (CE, sect., 3 novembre 1997, Hôpital Joseph-Imbert d'Arles : AJDA 1997, p. 1016), è certo possibile, non fosse che per la volontà del legislatore, ma annienterebbe il senso stesso del fondamento del rischio. Nel campo della colpa, l'intervento di un dovere di informazione (la cui carenza costituisce colpa (CE 5 gennaio 2000, Cons. Telle, Rec. p. 5, concl. Chauvaux)) associato al principio di precauzione condurrebbe a un obbligo di informazione anche di ciò che non conosciamo scientificamente, la qual cosa potrebbe anche essere suggestiva, se non fosse così surrealista.

Senza contenuto preciso, senza portata normativa, utilizzato a torto, a volte perfino in maniera pericolosa per la stabilità dei ragionamenti giuridici, il principio di precauzione, rispetto al quale tutti sono, tuttavia, d'accordo nel riconoscere il merito delle finalità da esso perseguite, è di fatto l'espressione di una volontà di vedere il giudice “ben” giudicare, al di là della stretta regolarità formale a lui opposta, anche di diritto positivo.

Questo legame fragile della coppia precauzione-prevenzione che costituisce il principio di precauzione imporrà necessariamente una evoluzione della coppia stessa.

Le riserve del giudice, all'esame del confronto diretto del principio di precauzione e degli interessi generali degli atti della pubblica amministrazione, si sono tuttavia andate smorzando quando il principio di precauzione è stato invocato in modo più indiretto.

B. L'invocabilità indiretta

Il diritto dell'ambiente, malgrado i suoi limiti in termini di efficienza, beneficia della giustapposizione di più elementi che contribuiscono alla sua più grande invocabilità pratica: l'entrata in vigore della Carta dell'ambiente nel 2005 (1), la novità data dalla possibilità di invocare processualmente in via d'eccezione la contrarietà di una legge alla Costituzione (2) e l'ammissibilità riconosciuta dalla giurisprudenza della sua invocabilità indiretta nelle procedure contenziose (3).

1. Conseguenze processuali indirette date dalla costituzionalizzazione dei principî ambientali

L'entrata in vigore della Carta dell'ambiente - che ha messo fine alla questione sul riconoscimento del rango dei principî ambientali - ha anche necessariamente modificato le condizioni di invocabilità di questi principî, costringendo il giudice alla necessità di superare due ostacoli processuali presenti nel diritto amministrativo francese: la teoria della “loi écran” (letteralmente “legge-schermo”) e quella della autonomia concettuale della disciplina.

a) L'abrogazione implicita e la teoria della loi écran

La teoria della loi écran permetteva al giudice amministrativo, al quale non appartiene il potere di accertare la conformità a Costituzione di una legge, di rifiutarsi di esaminare la liceità (Da intendersi come concetto sinonimico di « regolarità », ma non ridotto alla sola « legalità », riservato alla legge stricto sensu) di un atto amministrativo, se quest'ultimo si fondava su di una legge non dichiarata contraria alla costituzione dal Consiglio costituzionale. In altri termini la legge, anche se incostituzionale, fungeva così da “schermo” rispetto ad un eventuale controllo di costituzionalità di un atto amministrativo.

L'importante decisione del Consiglio di Stato del 19 giugno 2006, «Association eaux et rivieres de Bretagne» (Associazione acque e fiumi di Bretagna, Requêtes 282456 e 283103, AJDA 2006 p. 1584) ricorda gli effetti dell'accesso al livello costituzionale nei riguardi delle leggi anteriori alla Carta: «quando delle disposizioni legislative sono state adottate per assicurare l'operatività dei principi enunciati dagli articoli [...] della Carta dell'ambiente, [...] la legalità delle decisioni amministrative non si apprezza, nei confronti di tali disposizioni, se non sotto la riserva che esse non siano incompatibili con le esigenze che emergono dalla Carta stessa, trattandosi di disposizioni legislative anteriori all'entrata in vigore di quest'ultima». La teoria della loi écran soccombe, così, innanzi ad una eccezione maggiore, quale quella di incostituzionalità in via pregiudiziale, in caso di incompatibilità con la Carta. Questa posizione è stata chiaramente ed espressamente riaffermata nel quarto “considerando” della decisione dell'Assemblea del 3 ottobre 2008 «Commune d'Anney» (Dr. Env. Oct. 2008, p. 19, conlc. Y. Aguila).

Combinata con la giurisprudenza sulla “abrogazione implicita”, per la quale il giudice può aggirare mediante finzione l'ostacolo della “legge-schermo” (loi écran) (Consiglio di Stato Ass. 16 dicembre 2005, syndicat National des huissiers de justice...req 259584 : «Considerando che se non appartiene al giudice amministrativo di apprezzare la conformità di un testo legislativo alle disposizioni costituzionali in vigore alla data della sua promulgazione, ad esso spetta altresì di constatare l'abrogazione, qualora implicita, di disposizioni legislative quando il loro contenuto è inconciliabile con un testo posteriore, sia esso di rango legislativo o costituzionale»), questa posizione suprema del giudice amministrativo è essenziale in termini d'invocabilità dei principî ambientali. Certo, quando si tratta di principî ambientali della Carta che non siano stati oggetto di una legge per la loro realizzazione - ipotesi eccezionale - resta una questione aperta.

Naturalmente, quando si tratti di una legge posteriore alla Carta, contraria o incompatibile con quest'ultima, la teoria della loi écran è sempre valevole, poiché per il Consiglio di Stato (decisione del 27 giugno 2007, Ass. nationale pour la protection des eaux et riviere, req 297531) «non rientra tra le competenze del giudice amministrativo quella di statuire sulla conformità di una disposizione legislativa alla Costituzione, e la ratifica dell'ordinanza del 28 luglio 2005 fa dunque ostacolo a che sia esaminata la questione secondo la quale questa abrogazione violerebbe l'articolo 7 della Carta dell'ambiente». Spetterebbe, infatti, al Consiglio Costituzionale la competenza a dichiarare la suddetta legge non conforme. Al più, la revisione costituzionale che ha introdotto la questione prioritaria di costituzionalità attenua ancora (cfr. infra, 3) il rischio di non rispetto dei principî ambientali di rango costituzionale. Ciò non toglie che la combinazione della costituzionalizzazione dei principî, della giurisprudenza sulla abrogazione implicita, e l'immissione della eccezione d'incostituzionalità nel nostro sistema di controlli giuridici, costituiscono indiscutibilmente delle prospettive importanti (Un'altra prospettiva potrebbe essere data dalla eccezionalità. Ben prima della Carta dell'ambiente (2005) e dell'introduzione della QPC (2010), la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) era invocabile, in caso di violazione commessa da una disposizione con valore di legge di uno dei suoi principî, in occasione di una procedura. Ma non è sempre così facile individuare una violazione della CEDU in materia ambientale. Con una decisione del 20 ottobre 2011, non pubblicata (Becker et autres/ France), facente seguito, a sua volta, a una decisione del Conseil d'Etat del 18 luglio 2009 (Ministre de l'économie, des finances et de l'industrie/M. Becker, requête n° n°288559, con nota di Manuel GROS « de l'expropriation pour cause d'utilité publique », in Semaine Juridique. Administrations et collectivités territoriales, 16 novembre 2009 n°47) la Corte EDU, statuendo in composizione monocratica e rigettando un'azione control o Stato francese, ha considerato che il Codice minerario francese non violasse alcuno dei diritti e delle libertà garantite dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dai suoi protocolli in materia di indennità per danni).

b) La fine dalla teoria dell'autonomia concettuale della disciplina

Queste evoluzioni, che si suppongono acquisite, potrebbero, allo stesso tempo, infliggere un colpo fatale alla applicazione ai principî ambientali del principio della autonomia concettuale della disciplina (o della indépendance des législations). La celebre decisione «Société Bouygues télécom» (Conseil d'Etat 21 aprile 2005, requête n° 248233) scartava, come noto, il principio di precauzione enunciato dagli articoli L 200-1 del Codice rurale e L 110-1 del Codice dell'ambiente, nei riguardi di un permesso di costruire, con la motivazione che «queste disposizioni non rientrano nel novero di quelle che deve prendere in considerazione l'autorità amministrativa, quando si pronuncia sulla concessione di una autorizzazione rilasciata in applicazione della legislazione in materia urbanistica». Questa posizione è stata numerose volte ripresa nella giurisprudenza della giurisdizione amministrativa di primo e secondo grado (Per esempio: tribunal administratif de Toulouse, 2 marzo 2006, 030603 e 0400074, Carentz/ Préfet de Haute Garonne, in materia di permessi di costruire pale eoliche; Cour administrative d'appel de Lyon, 8 giugno 2006, in materia di porcilaie (02LY01902); Cour administrative d'appel de Bordeaux, 2 maggio 2006, GOUDAN, 02BX01286, in materia di ricetrasmittenti) e confermata in seguito dallo stesso Consiglio di Stato (Conseil d'Etat, 23 novembre 2005, Comune di Nizza, 262105, per un permesso di costruzione di un parcheggio sotterraneo). Per altro verso, il «rango costituzionale» dei principî ambientali cancella la possibilità di utilizzare l'autonomia concettuale della disciplina per impedire che ne venga contestata la violazione; così il testo legislativo, che prima veniva “scartato” in materia urbanistica (il Codice dell'ambiente o il Codice rurale) non può più, almeno in teoria, essere scartato. È questo il punto di vista di autorevolissima dottrina, come Yves Yegouzo, che considera come ormai l'applicazione del principio di precauzione «non sia limitata alle sole regolamentazioni disciplinate dal codice dell'ambiente» (Y. YEGOUZO, De certaines obligations environnementales: prévention, précaution et responsabilités, AJDA, 2005 p. 1164), o David Deharbe, che arriva ad affermare «l'incostituzionalità ambientale del principio dell'autonomia concettuale della disciplina» e «l'applicazione del principio dell'autonomia concettuale della disciplina» (D. DEHARBE, L'application du principe d'indépendance des législations - note sous CAA Bordeaux, 2 mai 2006, Goudan, n° 02BX01286, in Droit de l'environnement, n°144, novembre 2006, p. 357), e noi non possiamo che condividere tali posizioni. Queste ultime, poi, sono state condivise anche da certi giudici. Così il Tribunale amministrativo di Amiens ha ammesso l'operatività dell'argomento del principio di precauzione in relazione ad una procedura di revisione semplificata di un POS (Piano di occupazione del suolo), ritenendo che «queste disposizioni [articolo 5 della Carta] possono essere utilmente invocate in relazione di una decisione amministrativa intervenuta in materia di legislazione urbanistica», seguendo, in questo, l'indicazione del suo Commissario del Governo Anne Caron, la quale proponeva che «il carattere inoperante del principio di precauzione nei contenziosi riguardanti le autorizzazioni in materia urbanistica non si pone più nella stessa maniera dopo l'entrata in vigore della Carta dell'ambiente del 2004».

È vero che pur senza attendere la costituzionalizzazione dei principî, pur senza dover procedere a revisione costituzionale per consentire l'eccezione di incostituzionalità, sarebbe stato tutto sommato facile integrare un articolo del tipo del 110-1 del Codice dell'ambiente, così come altri nello stesso testo del Codice urbanistico. Ma perché fare le cose semplici, quando si possono fare complicate?

In ogni caso, la costituzionalizzazione del principio di precauzione rimuove indiscutibilmente l'ostacolo del principio dell'autonomia concettuale della disciplina.

c) Diritto dell'ambiente e questione prioritaria di costituzionalità (Q.P.C.)

Grazie alla legge di revisione costituzionale del 2008 (Loi constitutionnelle n° 2008-724 del 23 luglio 2008), che ha introdotto l'art. 61-1 nel testo costituzionale, ed alla legge organica n. 1523/2009 del 10 dicembre 2009, è oggi possibile sollevare una questione “prioritaria” (ovverosia “pregiudiziale”) di costituzionalità (Q.P.C.) in via incidentale. L'art. 61-1dispone così che «quando, in occasione di un procedimento in corso davanti ad una giurisdizione, viene eccepito che una disposizione legislativa viola i diritti e le libertà garantite dalla Costituzione, il Consiglio costituzionale può essere investito della questione dal Consiglio di Stato o dalla Corte di Cassazione che si pronuncia entro un termine prestabilito».

Una legge organica (articolo 23-2 de l'ordinanza n. 58-1067 del 7 novembre 1958, recante legge organica sul Consiglio costituzionale modificata dalla legge organica n. 1523/2009 del 10 dicembre 2009 relativo alla applicazione dell'art. 61-1 della Costituzione) prevede che la giurisdizione investita di una questione prioritaria di costituzionalità decide «senza termine con sentenza motivata» sulla relativa trasmissione degli atti al Consiglio di Stato o alla Corte di Cassazione (Si procede alla trasmissione se i requisiti seguenti sono soddisfatti : 1) La disposizione contestata è applicabile alla lite o alla procedura, o costituisce il fondamento di una causa; 2) Non è già stata dichiarata conforme alla Costituzione nei motivi e nel dispositivo di una decisione del Consiglio costituzionale, salvo che non siano intervenuti mutamenti nelle circostanze; 3) La questione non presenta carattere serio. Così tutte le “disposizioni legislative”, ai sensi dell'articolo 61-1, sono suscettibili, per via della Q.P.C., di essere contestate innanzi a qualunque giudice. Ora, dal primo marzo 2005 la Carta dell'ambiente è integrata alla Costituzione, e quest'ultima garantisce i diritti e le libertà).

Possiamo rilevare tre decisioni recenti del Consiglio costituzionale in materia ambientale sorte a seguito della proposizione di una questione pregiudiziale di costituzionalità.

La prima, dell'8 aprile 2011 (CC 2011-116 QCP Michel Z et autres,trouble de voisinage et envirronnement), sollevata dalla Corte di Cassazione, terza Camera Civile, ha visto il Consiglio considerare che l'art. L 112-16 del Codice della costruzione e dell'abitazione non era «contrario a nessun diritto o libertà garantito dalla costituzione», poiché è «discrezionalità del legislatore definire le condizioni nella quali una azione di responsabilità possa essere esercitata sul fondamento della violazione dell'obbligazione» del rispetto dell'ambiente imposto dai primi due articoli della Carta, così come «spetta al legislatore e, nel quadro definito dalla legge, alle autorità amministrative di determinare, nel rispetto dei principî enunciati, le modalità di attuazione» delle disposizioni di cui agli articoli tre e quattro della stessa Carta. Questa decisione di rigetto mostra, malgrado tutto, un esame attento della costituzionalità della legge nei riguardi della Carta dell'ambiente.

La seconda decisione, del 14 ottobre 2011 (CC 2011-183/184 QPC Association France Nature environnement. Ajda 2011.1981), sollevata, questa volta, dal Consiglio di Stato, ha visto il Consiglio costituzionale dichiarare il secondo comma dell'art. L 511-2 e il paragrafo terzo dell'art. L 512-7 del Codice dell'ambiente contrarî alla Costituzione, per violazione del cosiddetto “principio di partecipazione del pubblico” di cui all'articolo sette della Carta (NDT Art. 7 della Carta dell'ambiente: « Chiunque ha il diritto, nelle condizioni e nei limiti stabiliti dalla legge, di accedere alle informazioni relative all'ambiente detenute dalle autorità pubbliche e di partecipare alla elaborazione delle decisioni pubbliche che abbiano una incidenza sull'ambiente ») : «considerando che, tuttavia, nella sua redazione sottoposta al Consiglio costituzionale, il secondo comma dell'art. L 511-2 non prevede la pubblicazione del progetto del decreto di nomenclatura per le istallazioni autorizzate o dichiarate; che inoltre, né le disposizioni contestate, né alcun altra disposizione legislativa assicuravano l'operatività del principio di partecipazione del pubblico alla elaborazione delle decisioni pubbliche in esame; che, ne consegue, adottando le disposizioni contestate senza prevedere la partecipazione del pubblico, il legislatore ha violato per eccesso i limiti della sua competenza».

La terza decisione, del 13 luglio 2012 (CC 2012-262 QPC Association France Nature envirronement), ancora sollevata dal Consiglio di Stato, ha visto il Consiglio costituzionale dichiarare l'ultima frase del primo comma dell'art. L 512-5 del codice dell'ambiente come contrario alla Costituzione, per violazione del principio di partecipazione di cui all'articolo 7 della Carta, perché «né queste disposizioni, né alcun altra disposizione legislativa assicurano l'operatività del principio di partecipazione del pubblico nell'elaborazione delle decisioni pubbliche in causa; e, dunque, adottando le disposizioni contestate senza prevedere la partecipazione del pubblico, il legislatore ha violato per eccesso i limiti della sua competenza; le disposizioni dell'ultima frase del primo comma dell'art. 525-5 del codice dell'ambiente sono contrarie alla costituzione ». Il pensiero torna, naturalmente, alla decisione del Consiglio di Stato «commune d'Annecy» (Consiglio di Stato, 3 ottobre 2008, Dr. Env. Oct., 2008, p. 19, conc. Y. Aguila), che consacra la portata effettiva del principio di partecipazione.

Naturalmente queste tre prime decisioni riguardano i principî di responsabilità e quello di partecipazione, mentre per il momento nessuna dichiarazione di incostituzionalità è stata adottata nei confronti di violazioni del principio di precauzione.

La questione è, tuttavia, stata posta al Consiglio di Stato, in materia mineraria.

In occasione della contestazione della legalità di una ordinanza (arrêté) del prefetto, che disponeva l'interruzione definitiva dei lavori di rimessa in funzione di una miniera di carbone, una associazione intercomunale ha avuto l'occasione di proporre la questione della non-conformità del codice minerario francese alla Carta dell'ambiente, per violazione del principio di precauzione

(Nel 1946, l'estrazione mineraria era nazionalizzata e le concessioni trasferite agli Houillères du Bassin de Lorraine. Nel 2004, Charbonnages de France riprese questa concessione a seguito della dissoluzione degli Houillères du Bassin de Lorraine. Parallelamente, la procedura di abbandono della concessione era avviata a seguito di due provvedimenti del 2006 che autorizzavano la C.D.F. a procedere all'arresto definitivo dei lavori effettuati nelle miniere di carbone da DE WENDEL et SARRE MOSELLE, prescrivendo altresì delle misure complementari. Queste decisioni furono impugnate. Con due decisioni del 2010, il Tribunal administratif de Strasbourg annullava parzialmente uno dei due provvedimenti (Tribunal administratif de Strasbourg, 21 aprile 2010 Association après mines Moselle est, decisioni 0605815 et 0701758). L'Association APRES-MINES-MOSELLE-EST, come d'altronde lo stesso Stato, fecero appello davanti alla Cour Administrative d'appel de Nancy, nel giugno 2010. È in occasione di tale procedura pendente in appello che l'associazione APRES-MINES-MOSELLE-EST sollevava questione prioritaria di costituzionalità, in riferimento agli articoli 91 e 92 del Codice minerario.

I richiedenti consideravano che le disposizioni contestate violassero il principio di precauzione statuito dall'articolo 5 della Carta dell'ambiente. Il regime di precauzione corrisponde a “situazioni di forte incertezza sui pericoli o sulle loro conseguenze: la decisione pubblica non può allora appoggiarsi su di una valutazione definitiva del rischio” (Cfr. Cf. Avis du Comité de la Prévention et de la Précaution sur la décision publique en situation d'incertitude en date du 21 juin 2010). Il principio di precauzione prevede che, in questo caso, se vi è il sospetto di danni gravi e irreparabili, l'incertezza non costituisce una ragione valida tale da rimandare l'adozione di decisioni idonee a meglio valutare il rischio e anticipare un eventuale danno.

L'art. 91 del Codice minerario impone senz'altro all'estrattore minerario, al momento della fine dell'estrazione e dell'arresto dei lavori, di fare conoscere “le misure che ritiene di applicare per preservare gli interessi menzionati all'articolo 79, per fare cessare in maniera generale i disordini e i nocumenti di qualunque natura causati da tali attività, per prevenire i rischî di sopravvenienza di tali disordini e per impedire, se del caso, la ripresa delle operazioni di estrazione”. Tuttavia questa disposizione non si applica che a dei rischî chiaramente identificati dall'estrattore (« désordres et nuisances de toute nature engendrés par ces activités- Art. 91, comma 2 »).

Il Codice minerario non istituisce dunque alcuna misura destinata ad assicurare il principio di precauzione, poiché si limita a prendere in considerazione i pregiudizî già esistenti e verificati alla data della procedura di arresto dei lavori. Inoltre, l'articolo 91 del Codice minerario limita gli obblighi dell'estrattore alle conseguenze dirette della sua attività di estrazione. Così facendo, esclude la configurabilità di obblighi relativi alle conseguenze indirette o indotte. Ora, si tratta di un aspetto capitale che è tradizionalmente tenuto in considerazione nell'ambito del diritto dell'ambiente (si veda, per esempio, in materia di studî d'impatto, art. R 122-3, C. dell'ambiente).

Il paradosso è, quindi, che il Codice minerario si rivela nettamente meno esigente in materia di precauzione nell'ambito di una decisione di arresto dei lavori, le cui conseguenze ambientali sono potenzialmente disastrose!

Così, a titolo di esempio della violazione del principio di precauzione, possiamo richiamare gli importanti problemi legati ai rischi idraulici dovuti alla cessazione dell'attività mineraria. La procedura di arresto dei lavori obbliga certamente gli estrattori a effettuare degli studî sui rischî generici dovuti all'attività, ma li dispensa dall'esaminare tutte le conseguenze indirette o indotte sulla qualità delle acque, in particolare di quelle potabili. Possiamo dunque agevolmente percepire come il Codice minerario non conosca del principio di precauzione, che invece si applica anche quando i danni “benché incerti allo stato delle conoscenze possano compromettere in maniera grave e irreversibile l'ambiente” (art. 5 della Carta).

Trattandosi di rischî di inquinamento delle acque potabili, non è neppure necessario di spiegare, qui, quali potrebbero essere gli effetti sulla salute pubblica. Eppure il Codice minerario non impone all'amministrazione, al momento della fase essenziale dell'arresto dei lavori, di adottare delle “misure provvisorie e adeguate al fine di ovviare alla realizzazione del danno” (Art. 5 della Carta). Non sembra neppure consentirle. Il quinto comma dell'articolo 91 non consente, in effetti, nessun altra misura se non quelle definitive destinate a compensare i danni provocati all'ambiente.

La questione prioritaria di costituzionalità è stata trasmessa dalla Cour administrative d'appel de Nancy al Conseil d'État, passando così per il primo filtro di questa procedura. Peraltro il Conseil d'Etat non ha trasmesso la Q.P.C. al Conseil Constitutionnel, preferendo riconoscere implicitamente la sottomissione del Codice minerario alla Carta).

Con una ordinanza (décision) del 15 aprile 2011 (Consiglio di Stato, sesta e prima sottosessioni riunite, 15/04/2011, 346042), il Consiglio di Stato, rigettando l'eccezione e decidendo di non trasferire al Consiglio costituzionale la questione prioritaria di costituzionalità, si trovava costretto, tuttavia, a formulare una interpretazione conforme del Codice minerario (Ritenendo « che l'ASSOCIATION APRES-MINES MOSELLE-EST sostiene che le disposizioni citate dell'art. 91 del Codice minerario violano il principio di prevenzione e il dovere di riparazione previsti dagli articoli 3 e 4 della Carta dell'ambiente, così come il principio di precauzione previsto dall'articolo 5 della medesima Carta; che tuttavia, l'articolo 91 del Codice minerario dispone che al momento dell'arresto dei lavori minerarî, l'autorità amministrativa prescriva le misure che l'estrattore deve eseguire al fine di preservare, in particolare, le caratteristiche essenziali dell'ambiente circostante, di fare cessare i disordini e i nocumenti di qualunque natura provocati dalle sue attività e di prevenire i rischî di sopravvenienza di tali disordini; che queste disposizioni impongono all'estrattore di farsi carico della cessazione di tali danni causati all'ambiente dalle attività di estrazione mineraria dopo l'arresto dei lavori; che esse sono rivolte altresì a prevenire i danni che potrebbero ulteriormente causare le concessioni minerarie venute meno; che, inoltre, l'articolo 93 del Codice minerario prevede che lo Stato sia responsabile, a seguito della cessazione della validità del titolo minerario, della sorveglianza e della prevenzione dei rischî suscettibili di mettere in causa la sicurezza dei beni o delle persone identificate al momento dell'arresto dei lavori e le disposizioni contestate non hanno in nessun modo per effetto quello di imporre adempimenti in tal senso da parte degli enti locali, né d'introdurre una rottura dell'eguaglianza tra questi ultimi; che, di conseguenza, la questione sollevata, che non è nuova, non presenta un carattere serio », il Conseil d'Etat risponde di fatto alla questione in maniera affermativa, dal momento che esamina pedissequamente gli obblighi imposti dal Codice minerario e li considera come conformi agli articoli 3, 4 e 5 della Carta dell'ambiente e all'art. 72 della Costituzione). Bisogna riconoscere, in questa importante decisione, non già una negazione di efficienza riconosciuta alla QCP in materia ambientale, ma piuttosto una volontà di riconoscersi la facoltà, senza dover investire il giudice delle leggi, di sottomettere le disposizioni legislative al diritto costituzionale dell'ambiente.

Una recente decisione del Consiglio di Stato del 4 settembre 2011, M. Michel a (Consiglio di Stato, quinta e quarte sottosezioni riunite, 14/09/2011, 348394, pubblicata nella raccolta Lebon) consente di proporre la questione. Così, a una questione proposta sulla conformità delle disposizioni degli articoli L123-3-5 e L 123-4 del Codice rurale, con riferimento agli articoli 2 e 6 della Carta dell'ambiente, il Consiglio di Stato, decidendo di non rinviare al Consiglio costituzionale la questione prioritaria sollevata, forniva una interpretazione conforme del Codice rurale, proprio per dimostrare la sua presa in considerazione delle disposizioni costituzionali invocate.

La proposizione della questione prioritaria di costituzionalità come mezzo rapido d'interpretazione della legge da parte del Consiglio di Stato, su iniziativa delle parti ma con la complicità del giudice supremo, può essere allora una novità processuale di grande interesse.

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Publié le 19 février 2014