DE L'INVOCABILITÉ DU PRINCIPE DE PRÉCAUTION DEVANT LE JUGE ADMINISTRATIF FRANÇAIS
publié dans la revue diritto e società (Rome 2014)
Manuel Gros
(Professeurs des universités in diritto pubblico all'Università di Lille 2 e Preside onorario della facoltà Alexis de Tocqueville)
Premessa
Il vero e proprio “primo passo” dei varî Stati nel senso di una presa di coscienza mondiale per la protezione dell'ambiente è la Conferenza mondiale sull'ambiente umano, svoltasi a Stoccolma nel 1972. Tale conferenza, organizzata in seno alle Nazioni Unite, fu la prima edizione di quello che comunemente viene chiamato il “Summit della Terra”. Dopo il 1972, questi incontri mondiali hanno luogo ogni 10 anni, determinando degli apporti più o meno importanti in materia di protezione dell'ambiente. Così, dopo Stoccolma ci furono Nairobi (1981), Rio (1992), Johannesburg e Rio+20 (2012).
Trattandosi della protezione dell'ambiente, la Dichiarazione di Rio proclama a sua volta numerosi principî a favore della preservazione dell'ambiente naturale. Tra questi, uno dei più rilevanti è il principio di precauzione (Principio n° 15), accanto ad altri grandi principî (Principio di prevenzione, n°11; principio di “internalizzazione” dei costi ambientali (o “chi inquina paga”), n°16. Pure il principio di partecipazione dei cittadini ai temi ambientali e di accessibilità dell'informazione è menzionato nella Dichiarazione di Rio, anche se esso sarà meglio sviluppato in seguito con la Convenzione di Århus del 1998).
Il principio di precauzione è oramai entrato a far parte del linguaggio corrente ed utilizzato soprattutto negli ambiti metereologico, sanitario, medico, ma anche psicologico (come nei casi delle antenne ricetrasmittenti di telefonia mobile, degli organismi geneticamente modificati, etc.), sociologico, politico, financo sentimentale, al punto da perdere il suo contenuto originario.
Questi grandi principî ambientali hanno suscitato sin dall'inizio un dibattito relativo alla loro posizione all'interno dell'ordinamento giuridico.
Una scelta tra i due possibili approccî all'argomento ci consentirà di meglio circoscrivere il dibattito.
Il primo consiste nel considerare che i principî ambientali - il “diritto dell'ambiente”, per semplificare - non abbiano autonomia giuridica, non costituendo essi un insieme autonomo di norme giuridiche, bensì una serie di regole da doversi integrare al diritto interno dello Stato (o dell'Unione Europea, intesa come sistema giuridico integrato ovvero al quale obbligatoriamente conformarsi). Abbiamo già conosciuto, di recente, le deprecabili conseguenze, peraltro subito corrette dalla giurisprudenza, di pulsioni autonomiste di certe pretese discipline giuridiche “alla moda”, come il “diritto dello sport”. E tali pulsioni devono quindi serenamente essere scartate: il diritto dell'ambiente fa parte integrante dell'ordinamento giuridico nel quale lo si vuole applicare, e nel caso particolare della Francia appartiene sia al diritto pubblico che al diritto privato.
Il secondo approccio consiste, invece, nel tentare di interrogarsi sul fenomeno giuridico ambientale dal punto di vista della sua normatività, cercando di collocarlo su di una scala crescente della normatività: il primo gradino è quello del “progetto” (NDT Cioè della direzione teleologica che si intende perseguire e attorno alla quale si sviluppano i valori portanti che si ritengono ad essa coessenziali); esso attiene ad un momento, per così dire, affettivo ed è espresso da uno o più individui. Attiene al “progetto”, ad esempio, il desiderio di una coppia che vuole vivere insieme, così come la situazione di convivenza tra più individui esige un trattamento egalitario tra essi. In materia ambientale, la celebre frase di Antoine de Saint Exupéry - attribuita egualmente a Léopold Sedar Senghor, che l'aveva senz'altro presa in prestito, a sua volta, da un proverbio Masai, come Saint Exupéry l'aveva verosimilmente presa in prestito da un proverbio indiano del Sud-America («la terra non è un dono dei nostri genitori, sono i nostri figli che ce la prestano») - secondo il quale «noi non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli» (NDT La frase è, ormai, notissima anche in Italia, essendo stata utilizzata dall'attore Roberto Benigni in una celebre intervista rilasciata al compianto giornalista Enzo Biagi il 10 maggio 2001 per la trasmissione televisiva “Il Fatto”, su Raiuno. In quell'occasione, infatti, Benigni affermò: «l'abbiamo in prestito, questo mondo, dai nostri figli, non ce l'abbiamo in eredità dai nostri padri. Ce l'abbiamo in prestito. E allora, ai nostri figli, ai bambini, gli dobbiamo far trovare una cosa per la quale dire: "oh, t'abbiamo voluto bene, t'abbiamo amato"») si pone, naturalmente, dal momento in cui essa è stata messa per iscritto, come “progetto”.
Condiviso da numerose persone, il progetto accede al secondo gradino della normatività, quello del valore-principio (o, più semplicemente, principio). Il principio è, quindi, un progetto condiviso da molte persone, e in questo senso il matrimonio è il principio sotteso al progetto della coppia di vivere assieme, così come il principio di eguaglianza della Rivoluzione collettivizza la situazione di convivenza e lo sviluppo sostenibile è un principio (assieme ad altri) sorto dal progetto di Saint Exupéry. Ma il principio - che è politico, così come il progetto è affettivo - non è ancora una norma.
Il gradino della norma presuppone l'ingresso nella sfera giuridica e un minimo di effetti normativi, sia pur in termini generici: in altre parole, il principio richiede di essere, per così dire, “positivizzato”. Così il Preambolo della Costituzione del 1946 o la Costituzione della V Repubblica che hanno fatto del principio di eguaglianza una norma. Ma la normatività non è sufficiente a conferire l'effettività; è necessario attribuirgli una, per così dire, capacità oppositiva.
Questa “opponibilità” si ritrova in un altro gradino della scala della normatività, quello del passaggio allo stadio di “diritto”, nel senso di diritto soggettivo, descritto da René Capitant (1901-1970, Professore di diritto e uomo poltico francese), in sostanza, come un principio al quale sia associata una azione procedurale che permetta di far rispettare o sanzionare quel principio stesso. Il principio di eguaglianza accede, così, allo status di diritto soggettivo: ad esempio, nell'ambito della responsabilità oggettiva, con la celebre decisione del Consiglio di Stato «Couitéas» (Conseil d'Etat 30 novembre 1923 Couitéas, R. 789). Le recenti discussioni in Francia sulla “opponibilità” del diritto all'alloggio mostrano egregiamente come labile sia il confine tra norma, diritto e opponibilità.
Ma i gradini della normatività sono molteplici; all'ultimo vi troviamo il “cas d'ouverture” (NDT Espressione di difficile traduzione. Letteralmente “caso di apertura”. La traduzione forse più vicina al significato reale sarebbe “pretesto d'attivazione” (della tutela giurisdizionale). Si tratta, in pratica, della situazione concreta tutelabile, ovverosia dell'ipotesi, della fattispecie, concreta e autonoma, tale da far attivare, da sola e direttamente, la tutela giurisdizionale. In questo senso, quindi, si può parlare di “caso di apertura”: di un “progetto”, evolutosi in principio e poi in norma giuridica e che ora, giunto alla fase finale della sua “normatività”, acquisisce un'autorità tale da divenire un autonomo “caso” (pretesto) con cui “aprire” (attivare) la tutela giurisdizionale), che costituisce la versione tecnica finale della normatività; è un principio (per esempio l'obbligo di motivazione degli atti amministrativi) che ha superato con successo tutte le tappe della scala per essere infine riconosciuto come argomento (su di un piano sociologico), come mezzo (in termini procedurali) e come situazione tutelabile (nel caso di specie con un ricorso per eccesso di potere) e condurre all'annullamento di un atto di amministrativo che l'abbia violato. Così, per rimanere nell'esempio del principio di eguaglianza, la decisione «Société des concerts du conservatoire» (Conseil d'Etat 9 marzo 1951, R.151) consacra l'ammissione del principio di eguaglianza (nei confronti dei servizî pubblici) allo stadio di situazione tutelabile.
Il principio di precauzione, come indica il suo nome, è un principio, e si pone, naturalmente la questione di sapere se sia già divenuto una norma, un diritto, financo un mezzo d'annullamento (e quindi un “cas d'ouverture”) nel diritto francese.
La questione alla quale ci interesseremo è, dunque, quella della sua normatività.
Essa include, allo stesso tempo, il valore giuridico del principio e la sua portata. Quest'ultima, in materia di contenzioso, può tradursi con un neologismo: la “invocabilità” effettiva.
Prima di sviluppare gli elementi evolutivi, come anche i limiti della sua pretesa invocabilità contenziosa, bisogna tuttavia preliminarmente illustrare le difficoltà d'integrazione nel diritto francese che incontra il principio in esame, malgrado la sua recente consacrazione costituzionale.
I. DIFFICOLTÀ D'INTEGRAZIONE PRIMA DELLA CONSACRAZIONE COSTITUZIONALE
Il principio di precauzione, al di là di una generale difficoltà d'inserimento nel diritto francese dei principî ambientali (A), ha sofferto precipuamente di una sua carenza contenutistica e definitoria (B) prima di conoscere non ostante ciò, e sia pur con una ambiguità semantica, una consacrazione costituzionale (C).
A. La generale difficoltà d'inserimento nel diritto francese dei principî ambientali
La questione dell'integrazione dei principî ambientali, come il principio di precauzione, nella gerarchia delle norme conosce nel diritto francese tre difficoltà. La prima è esogena ed attiene all'instabilità del diritto pubblico interno francese (1). Le altre due sono endogene e scaturiscono dalla natura stessa di questi principî, sorti da soft law (NDT La dottrina francese - e l'Autore di questo testo non fa eccezione - preferisce usare l'espressione “droit mou” che è, per l'appunto, la traduzione letterale di “soft law”. La dottrina italiana, invece, usa normalmente l'espressione inglese, mentre è davvero raro (seppur non impossibile) trovare l'equivalente italiano “diritto morbido”. Per agevolare il lettore italiano, a cui questo scritto è destinato, abbiamo dunque preferito usare, nel corpo del testo, l'espressione “soft law”) (2), e dalla loro ispirazione collettiva, se non addirittura, per così dire, “collettivista” (3).
1. I principî ambientali devono integrarsi ad un diritto instabile :
I principî ambientali hanno una certa vocazione a integrarsi nel diritto interno, più generalmente nel diritto pubblico e, di fatto, nel diritto amministrativo. Ora, quest'ultimo è, dalla seconda metà del XX secolo, divenuto un diritto instabile. Senza cercare le cause dell'instabilità - natura giurisprudenziale delle regole adattata ad una amministrazione che svolge funzioni soprattutto regaliane; problemi dati dalla cosiddetta codificazione “a diritto costante” (NDT Si tratta di una sorta di “ricompilazione” del diritto vigente, molto in voga in Francia in questo periodo. In sostanza consiste nell'attuazione di una politica legislativa volta a riordinare la normazione in una certa materia, sparsa in numerosi atti normativi, in un unico testo, senza tuttavia modificare i contenuti degli atti originarî (per ciò “a diritto costante”)), che di solito complica le cose più di quanto non pretenderebbe semplificarle; inflazione quantitativa di nome; inadeguatezza - la constatazione di tale instabilità salta agli occhi in tutti gli ambiti-chiave del diritto amministrativo: instabilità testuale permanente del diritto dei contratti, diversità e sofisticatezza sempre più grandi del diritto della responsabilità, etc. Ma è senz'altro in termini di normatività amministrativa che il diritto amministrativo è più instabile.
Elementari esempî tratti dall'esperienza della polizia amministrativa lo dimostreranno agevolmente. L'apparente summa divisio della polizia generale opposta alle polizie speciali ne costituisce un primo esempio. Di primo acchito, infatti, sembrerebbe che questi due tipi di polizia siano insuscettibili d'intervenire simultaneamente. Non è sempre così. In materia d'estrazione mineraria, per esempio, la polizia mineraria - speciale per eccellenza - , di competenza del prefetto, rappresentante dello Stato, non priva in alcun modo il Sindaco - autorità della polizia generale - dei suoi obblighi di polizia generale che si esercitano su tutto il territorio del Comune, vale a dire sull'insieme dei siti minerarî o di quelli che abbiano il carattere di installation classèe (NDT Imprese industriali o agricole suscettibili di provocare rischî, inquinamento o nocumento alla sicurezza ed alla salute degli abitanti), come dei siti non minerarî, in forza del celebre articolo L2212-1 (La polizia generale, conferita al Sindaco in forza dell'art. L 2212-1, “ha per obiettivo quello di assicurare l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la pubblica salubrità” (L 2212-2)) del Codice generale delle collettività territoriali.
Riguardo al principio di precauzione, le recenti decisioni in materia di antenne ricetrasmittenti di telefonia mobile (infra) o in materia di divieto di organismi geneticamente modificati (O.G.M.) hanno provocato un vero e proprio conflitto di competenza, davanti al giudice, tra i poteri di polizia speciale dei varî corpi dello Stato e il potere di polizia generale del Sindaco (Il potere di polizia generale, che ha una portata molto estesa, è soggetto, come chiarito da una celebre decisione del Conseil d'Etat, a quel particolare tipo di controllo del giudice amministrativo qualificato dalla dottrina come « massimo », consistente in una verifica dell'adeguatezza della misura adottata dalla polizia ai fatti, ovverosia alla proporzionalità del provvedimento al rischio che questo stesso si propone di evitare (Conseil d'Etat 19 mai 1933 BENJAMIN, Rec.541)).
A questa instabilità radicata, legata alla sovrapposizione delle competenze, si aggiunge, talvolta, una instabilità ontologica, propria di certe discipline del diritto pubblico francese. È il caso, per esempio, dello stato attuale del nostro sistema normativo urbanistico, che oggi presenta una instabilità allo stesso tempo quantitativa e qualitativa.
Quantitativa per la profusione di norme a geometria e ad autori variabili.
Qualitativa in quanto il diritto dell'urbanismo francese conosce almeno tre livelli di rapporti di normatività. Il primo è quello della “conformità”, classico, e riguarda i rapporti tra gli atti individuali (permessi, autorizzazioni) e i documents d'urbanismes, atti tipici della materia urbanistica (P.O.S., piani di occupazione del suolo, P.L.U., piani locali urbanistici; R.N.U., regolamenti nazionali urbanistici). Il secondo è il rapporto di “compatibilità” riservato di solito ai rapporti tra gli stessi succitati documents d'urbanismes - intesi in senso ampio (rapporti tra P.L.U. e S.C.O.T., schemi di coerenza territoriale, ovvero schemi di valorizzazione del mare). Tale problematica, peraltro, ha suscitato numerosi tentativi definitorî sul senso preciso del termine “compatibilità” (sostenendo che esso debba intendersi come “non incompatibilità manifesta”, ovvero come “non contrarietà”, o con definizioni addirittura più ambigue). Quanto al terzo rapporto di normatività, quello della “presa in conto” (NDT Consistente in un particolare rapporto di dipendenza tra gli atti, tale che l'uno deve obbligatoriamente “prendere in conto”, cioè “prendere in considerazione”, un altro), esso rileva, a volte, perfino di surrealismo, in riferimento alla questione relativa al sapere se la “presa in conto” si limiti ad una indicazione teleologica, di risultato - ciò che non avrebbe alcun senso - o vada più lontano, ma allora si avvicinerebbe fortemente - sino forse a coincidere - alla “compatibilità”. Tali sono, ciò non ostante, gli obblighi (la “presa in conto”) per esempio dei P.L.U. in relazione ai “programmi di referenza urbana” (NDT Atti volti a strutturare e orientare la strategia di trasformazione urbana di una Città.), come previsto dal L123-1 del Codice urbanistico, o dei piani di edilizia locale (P.L.H.).
Così, il diritto comune in materia urbanistica s'insabbia nei suoi nuovi strumenti di pianificazione: così è per i Piani locali urbanistici (P.L.U.), elaborati dai Comuni e che devono essere compatibili con gli schemi di coerenza territoriale (gli S.C.O.T., assimilabili ai vecchi schémas directeurs, schemi-quadro) di livello intercomunale, essendo ambo i due, peraltro, sottomessi alle prescrizioni dei Piani di prevenzione dei rischî «naturali» (PPRN), «tecnologici» (PPRT) o minerarî (i PPRM previsti dal Codice minerario), o ancora per i Piani di prevenzione delle inondazioni (PPI), formando, tali differenti atti, l'oggetto di una concertazione arbitrata dallo stato. Questa miscela finirà, in molti casi, per essere esplosiva, poiché le spinte locali allo sviluppo (espresse da PLU e SCOT) non saranno sempre compatibili con la prudenza dei piani di prevenzione (PPRN, PPRT, PPI) e di altri atti specifici (SDAGE, schema direttore per la pianificazione e la gestione delle acque, e S.A.G.E., schema per la pianificazione per l'acqua, per quanto riguarda l'acqua; Piano dipartimentali per la gestione dei rifiuti, carte dei parchi naturali regionali). Senza contare che i PIG (progetti d'interesse generale), previsti dalle ordinanze del prefetto (arrêté préfectoral) o ancora le servitù d'utilità pubblica (articolo L 126-1 del Codice urbanistico) potranno complicare il quadro esigendo un rapporto di conformità a loro beneficio.
Potremmo infine aggiungere l'instabilità ulteriore provocata dalle necessarie interferenze apportate dal diritto dell'Unione Europea, quando esso sia - come talvolta capita in materia ambientale - divergente dalle posizioni francesi (È questo il caso, per esempio, della definizione data in ambito europeo alla nozione di “valorizzazione”, che è stata apprezzata dal legislatore francese in maniera diversa). Come, insomma, si sarà compreso, la prima difficoltà per i principî ambientali sarà quella d'integrare un sistema giuridico già di per sé molto instabile.
2. La difficile integrazione del soft law in un sistema giuridico rigido
Instabile, il diritto pubblico francese riposa tuttavia sulla finzione del suo rigore, altrimenti detta rigidità, espressa dalla celebre piramide di Kelsen (Hans Kelsen, nato il 11 octobre 1881 a Praga sotto l'Impero Austro-ungarico, deceduto il 19 aprile 1973 a Orinda, in California, è stato, come noto, un giurista austro-americano, le cui idee fanno ormai parte della comune cultura giuridica. Tra queste possiamo ricordare, per esempio, la gerarchia delle norme, le corti costituzionali, la distinzione tra dottrina pura del diritto e sociologia del diritto) e l'articolazione delle norme in una gerarchia il cui rispetto è pilastro della stabilità giuridica.
In altri termini, che si tratti del diritto civile e delle sue finzioni categoriali (il buon padre di famiglia, l'autonomia della volontà, la presunzione di buona fede, ecc.) o di diritto pubblico e delle sue finzioni giurisprudenziali (interesse generale, servizio pubblico, prerogative del pubblico potere, clausola esorbitante di diritto comune, ecc.), il rigore gerarchizzato delle varie norme si adatta, in un modo o nell'altro, ad una logica di diritto “duro”, o quantomeno rigido.
I principî ambientali non appartengono, all'origine, a questa struttura giuridica ordinata, ma piuttosto a quella dei grandi dibattimenti della società internazionale, dalla dichiarazione generale di Stoccolma a quella di Rio del 1992, vale a dire di un amalgama tra principî politici e norme giuridiche, solitamente proprie del dibattito internazionale, ispirate al soft law e che rilevano come diritto “morbido”, o flessibile, o versatile secondo le diverse accezioni.
Un po' come quei giochi per bambini composti da un quadro di legno perforato con buchi di forma geometrica (quadrati, tondi, rettangoli) e ove si deve inserire il pezzo di legno nel buco corrispondente, la gerarchia kelseniana delle norme esige che la forma sia del tutto adatta. Se invece, pur essendo il quadro di legno, i pezzi da inserire siano di un materiale molle - ad esempio in caucciù - si arriverà certamente a dare l'illusione di poter fare entrare un tondo in un quadrato, ma esso non riuscirà mai a restarvi per molto tempo, facendolo, la sua elasticità, fuoriuscire dalla cavità. Un altro esempio potrebbe essere quello di una chiave, sempre in caucciù (considerando, tra l'altro, che la chiave rappresenta la metafora dei principî ambientali ai quali si pretende essersi data la forma apparentemente perfetta, quella della legge costituzionale) che si volesse inserire in una serratura di metallo (simbolo, quest'ultima, della gerarchia delle norme): la chiave entrerebbe di sicuro, ma il caucciù non potrebbe, per la sua mollezza, aprire la serratura.
La questione è molto prossima a questi esempi fanciulleschi: possono dei principî “morbidi” integrare una gerarchia di norme rigide?
Il principio di precauzione illustra perfettamente la situazione, in quanto carente di esatto contenuto, o quantomeno di un contenuto pacificamente riconosciuto, come nota Olivier Godard (O. GODARD, Le principe de précaution dans les conduites des affaires humaines, Editions de la Maison des sciences de l'Homme, Paris 1997, Introduction générale), vista l'assenza di dottrina prevalente ed il dibattito ancora in corso al riguardo, come d'altronde accade per tutti i grandi principî (Cfr. N. DE SADELEER, Les principes du Pollueur-payeur, de prévention et de précaution, Bruylant-Auf, Bruxelles, 1999, p. 227: «ces principes appartiennent en tous cas à des concepts dont la compréhension semble aller de soi, mais qui ont tendance à se dérober au fur et à mesure que l'on cherche à les définir»).
Una semplice analisi dei testi permette di andare più lontano nell'ambito di precauzione. Il principio di precauzione conosce, nel diritto francese, due definizioni testuali. La prima legislativa, disposta all'art. L110-1 del Codice dell'ambiente, che si è sostituito all'articolo L200-1 del Codice rurale e alla legge Barnier del 2 febbraio 1995; e l'altra costituzionale, in virtù dell'articolo 5 della Carta, come modificato dalla legge costituzionale del primo marzo 2005 (cfr. infra).
In ogni caso, l'integrazione di un principio di soft law in un sistema di diritto scritto giuridico non è per nulla agevole.
3. La difficile integrazione di principî collettivi in un sistema giuridico strutturalmente individualista
Un'ultima difficoltà da superare attende, infine, i principî ambientale, ed attiene alla loro natura collettiva comparata a quella - individualista - delle fondamenta strutturali delle nostre democrazie, vale a dire le libertà individuali e i diritti dell'uomo.
Il codice civile francese viene talvolta qualificato come “il piccolo libro rosso della borghesia” - alludendo ad un noto editore giuridico francese (I cui codici pubblicati erano - e in parte sono ancora - rivestiti di una copertina rossa)! Ma, al di là delle allusioni, è indiscutibile che i principî fondanti del nostro sistema giuridico siano individuali, financo individualisti: diritto di proprietà, libertà del commercio e dell'industria, libertà di movimento e libertà d'opinione - tramandatici dai valori borghesi sorti con la rivoluzione - e diritto al lavoro e diritto al progresso - sorti con la rivoluzione industriale e più sociali.
Ora, i principî ambientali sono, per definizione, pregiudizievoli, se non anche limitatori, di questi valori fondamentali.
In ogni caso, i principî collettivi, o collettivisti che dirsi voglia, del diritto dell'ambiente dovranno concordarsi con i vecchi principî individuali, o individualisti, del nostro sistema giuridico portante.
Così se il loro valore non pone alcun problema circa il loro inserimento tra le norme fondamentali, oggi costituzionali, la loro portata, cioè la loro effettività, non potrà essere assoluta.
Questa ipotesi potrebbe partire dall'idea che i grandi principî ambientali siano una sorta di “sovradiritto”, per la loro dimensione planetaria e “duratura”, ma anche perché essi si pongono, in un certo senso, come se fossero al di sopra dei diritti “ordinarî”. Da cui l'idea che non conoscano limiti e che si possano creare indefinitamente nuovi principî o diritti ambientali senza pregiudizio.
Ora, contrariamente ai luoghi comuni, la creazione di un sovradiritto non è senza effetti sugli altri diritti. Come diceva Lavoisier «nulla si distrugge e nulla si crea, tutto si trasforma», e la formula chimica è esatta anche da un punto di vista giuridico; per il fenomeno dei vasi comunicanti, o per la più semplice bilancia di Roberval, ogni creazione di un sovradiritto attenta un altro diritto.
Questa evidenza di un mondo giuridico equilibrato dove i diritti soggettivi si oppongono necessariamente (le affissioni politiche e il proprietario del muro, la libertà sessuale e la fedeltà coniugale, ecc.) merita un esame più approfondito nel confronto di un sovradiritto “oggettivo” e generale (i principî ambientali e i “sottodiritti” soggettivi (i diritti dell'uomo).
La teoria del bilanciamento dei diritti, nell'evidente pragmatismo ch'essa rivela, non arriva a rimuovere l'essenza stessa della “combattimento”, cioè della contrapposizione, tra Diritto e diritto, o tra diritti e diritti.
È il caso del diritto di proprietà - già protetto dagli artt. 2 e 17 della dichiarazione dei diritti del cittadino del 26 agosto 1789 («Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione» (art. 2) ; « La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità » (art. 17)) integrata al “blocco” costituzionale dal preambolo della Costituzione del 4 ottobre 1958 - a sua volta per definizione contraddetto dal diritto dell'ambiente. E, come pure spesso si dimentica, il diritto di proprietà, nel diritto francese, è un diritto teoricamente assoluto («La proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta», codice civile francese, art. 544 (Una formulazione che, come si noterà, è praticamente identica a quella dell'art. 436 del codice civile italiano del 1865)).
È anche il caso della libertà di commercio e dell'industria. La disciplina delle installations classées pour la protection de l'environnement (I.C.P.E.) (Imprese suscettibili di provocare nocumento all'ambiente), arreca un pregiudizio permanente alla libertà di commercio e d'industria: il regime dichiarativo o d'autorizzazione comporta di per sé già una attenuazione e, talvolta, perfino un attentato a tale libertà (La libertà di commercio e di industria può ancora considerarsi come una « libertà pubblica » ? Possiamo dubitarne, alla luce della giurisprudenza sull'interventismo economico degli enti locali nel diritto francese).
Il diritto al lavoro, viene invocato nella costituzione solo nel Preambolo del 1946 (Il quale dispone che « 5. Chiunque ha il dovere di lavorare e il diritto di ottenere un impiego ») e, a livello internazionale nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 (Adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 a Parigi (Art. 23 : « Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione»)). Ora, i principî dello sviluppo sostenibile, della decrescita razionale, dell'economia delle risorse, sono necessariamente un freno al pieno impiego.
Il diritto al progresso, presente implicitamente nel preambolo del 1946 (“10. La Nazione assicura all'individuo e alla famiglia le condizioni necessarie al loro sviluppo. 11. Essa garantisce a tutti, e specialmente al fanciullo, alla madre e ai vecchi lavoratori, la protezione della salute, la sicurezza materiale, il riposo e le vacanze. Ogni essere umano che, in dipendenza dell'età, dello stato fisico o mentale o della situazione economica, si trovi nell'impossibilità di lavorare, ha il diritto di ottenere dalla collettività adeguati mezzi di esistenza”) e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo del 1948 (Che lo proclama nel suo preambolo: “Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà”), spinge al consumo. Ora, in una società dei consumi, il diritto al progresso rappresenta il diritto al consumo del progresso tecnologico ed è antitetico ai principî ambientali. Il diritto di possedere e di utilizzare più d'un telefono cellulare, di utilizzare l'amianto per una coibentazione a basso costo, di mangiare carne bovina a buon mercato o polli d'allevamento a costi irrisorî contraddicono il principio di prevenzione o, comunque, mancano di precauzione.
Infine, ci si può chiedere se certi principî ambientali non attentino, semplicemente, ai più fondamentali diritti dell'uomo, quali la libertà di pensiero o di espressione? Altrimenti dovremmo ammettere che esista un pensiero unico in materia ambientale, vietando l'espressione di correnti di pensiero non ecologiste. E allora, abbiamo oggi il diritto di rimettere in causa il principio di precauzione? Possiamo criticare lo sviluppo sostenibile, invocando invece uno sviluppo “immediato”? Abbiamo il diritto di rimettere in discussione, in Francia, il principio della valorizzazione esclusivamente energetica?
La realtà è che i diritti dell'uomo sono, all'origine individuali, mentre il diritto dell'ambiente è, all'origine, collettivo! C'è, dunque, contraddizione evidente tra i primi (collettivi, financo collettivisti) ed i secondi (individuali, financo individualisti).
In ogni caso, i principî fondamentali sorti dalle grandi conferenze di diritto internazionale a partire della fine del XX secolo non si integrano, piaccia o meno, così facilmente nel nostro sistema giuridico instabile, rigido e individualista.
B. Assenza di contenuto e di definizione del principio di precauzione
Il principio di precauzione è apparso molto di recente (I principî di precauzione e di prevenzione sono apparsi all'inizio degli anni '70, in Germania - con la denominazione di Vorsorgeprinzip per quanto riguarda, in particolare, il principio di precauzione - introdotti nell'ordinamento tedesco con la legge del 1974 sulle piogge acide. Ma il loro sviluppo è di origine internazionalistica, con la Convenzione di Vienna del 1985 per la protezione del buco dell'ozono il rapporto Brundtland sullo sviluppo sostenibile del 1987. Li ritroviamo, poi, in numerosi atti di diritto internazionale, come per esempio la Dichiarazione di Rio sull'ambiente e sullo sviluppo, del giugno 1992, al termine del “Summit della Terra” organizzato dalle Nazioni unite), e molti importanti atti di diritto internazionale vi fanno riferimento - testi, peraltro, integrati nell'ordinamento dell'Unione Europea nel 1992, con l'articolo 130R sulla politica comunitaria dell'ambiente. Il trattato di Maastricht enuncia così che «la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principî della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché su principio del “chi inquina paga”» (art. 174, comma 2).
Quanto alla Francia, essa ha riconosciuto questi principî piuttosto tardivamente, con la legge Barnier del 2 Febbraio 1995 sul rafforzamento della protezione dell'ambiente.
Per altro verso, l'ingresso nel diritto positivo del principio in esame non è stato accompagnato da una gran precisione semantica.
La comprensione di un concetto giuridico suppone la sua preliminare definizione, come ricordava Marcel Waline (Specificatamente in Empirisme et conceptualisme dans la méthode juridique : faut-il tuer les catégories juridiques ?, Mélanges DABIN, Bruxelles, Bruylant 1963, p. 371, nonché in Traité élémentaire de droit administratif , édition Paris Sirey 1963, p. 669).
Ora, non esiste una definizione universalmente riconosciuta del principio di precauzione, bensì un ventaglio di definizioni, essendo l'idea di fondo quella del dubbio scientifico, dell'assenza di certezza, della ragione di pensare che delle misure devono essere prese allorquando esistano delle ragioni sufficienti di credere che una attività o un prodotto rischia di causare danni gravi ed irreversibili alla salute ovvero all'ambiente. Tali misure possono consistere nel ridurre o porre un termine alle summenzionate attività, o ancora nel vietare tali prodotti, pur se la prova formale di un legame di causa a effetto tra queste attività o questi prodotti e le conseguenze temute non possa essere stabilito in maniera irrefutabile.
Certi Paesi hanno integrato il principio - almeno nello spirito - nel loro “blocco costituzionale”, ma sempre in modo sufficientemente vago tale da non permetterne l'accesso effettivo al rango di norma di diritto positivo. Così la Costituzione greca (articolo 24) parla sì di obbligo dello Stato, ma a proposito della generale “protezione dell'ambiente”; la legge fondamentale tedesca (articolo 20, introdotto con la revisione costituzionale del 27 ottobre 1994) intende assumere “la sua responsabilità per le generazioni future”, e quella del Belgio (nel Preambolo), sia pure più precisa, garantisce “il diritto [...] alla protezione della salute [...] e alla protezione di un ambiente sano” (NDT Anche la Corte Costituzionale italiana ha avuto modo di pronunciarsi sul problema del valore da attribuire alla protezione dell'ambiente (cfr. P. CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, III edizione, Torino2011, pp. 529 ss.; G. ROSSI (a cura di), Diritto dell'ambiente, Torino 2011, passim e, particolarmente, il capitolo II), di cui non vi era menzione nell'originale testo del 1948 - anche se la Consulta ne aveva ricavato una certa valenza in via interpretativa a partire dai richiami alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione (art. 9), al diritto alla salute (art. 32) e al razionale sfruttamento del suolo (art. 44) - e che è stata introdotta dalla legge costituzionale numero 3 del 18 ottobre 2001 tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lettera s): «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»). Inoltre va notato come tra le materie di legislazione concorrente (art. 117, comma 3) venga considerata anche la «valorizzazione dei beni ambientali». Ciò significa, per altro verso, che all'introduzione della menzione della tutela dell'ambiente nella Costituzione non è corrisposto il diretto riconoscimento costituzionale di un “diritto dell'ambiente” (Cfr. L. NANNIPIERI, Il ruolo della Corte nella definizione della materia ambientale, giugno 2010, su www.gruppodipisa.it). Si capirà dunque come, nell'apparente silenzio della Costituzione, sia stata la Corte Costituzionale ad avere un ruolo determinante nella progressiva affermazione della tutela dell'ambiente come interesse di valore costituzionale. La Corte Costituzionale, in particolare, ha riconosciuto l'ambiente come un «bene di valore assoluto e primario» (sent. n. 641/1987), il paesaggio come «un valore primario, valore estetico e culturale» (sent. n. 151/1986) e il diritto ad un ambiente salubre, alla stregua di quanto aveva già affermato la Corte di Cassazione (SS. UU., n. 5172/1979), come diritto soggettivo (sentenze nn. 210/1987 e 641/1987; cfr. V. DINI, Il diritto soggettivo all'ambiente, novembre 2004, su www.giuristiambientali.it)).
Di fatto il principio di precauzione non ha un contenuto esatto, o quantomeno tale contenuto non ha una definizione pacificamente accettata. Questa imprecisione, già affermata dalla dottrina, non è stata smentita dalla definizione legislativa che ne fornisce, oggi, l'articolo L110-1 del Codice dell'ambiente, intervenuto dopo l'articolo L200-1 del codice rurale e la legge Barnier del 2 febbraio 1995: «il principio di precauzione, secondo il quale l'assenza di certezza, tenuto conto delle conoscenze scientifiche e tecniche del momento, non deve ritardare l'adozione delle misure effettive e proporzionate volte a prevenire un rischio di danni gravi e irreversibili all'ambiente ad un costo economicamente accettabile».
Ma il legislatore - nella sua grande saggezza, secondo una formula desueta ma di buon senso - ha fissato lui stesso i “paletti” di questo principio, che come gli altri principî dell'ambiente, secondo il codice dell'ambiente, non deve far altro che «ispirare» la politica legislativa francese sullo sviluppo sostenibile. Questa “ispirazione” della politica legislativa potrebbe, altrettanto bene, applicarsi al devoir de mesure, a quello della tolleranza e, in ultima analisi, a tutte le norme positive di comportamento!
Di tenore più grave è invece il dettato costituzionale («Articolo 5 della Carta costituzionale per l'ambiente. Quando la realizzazione di un danno, benché incerta allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, potrebbe pregiudicare in maniera grave e irreversibile l'ambiente, le autorità pubbliche si curano, mediante l'applicazione del principio di precauzione e nel loro ambito di attribuzioni, della messa in opera di procedure di valutazione del rischio e dell'adozione di misure provvisorie e proporzionate al fine di premunirsi contro la realizzazione di quel danno» (NDT La traduzione concordata dalla Direzione della comunicazione e dell'informazione del Ministero degli Esteri, dal Consolato Generale di Francia a Milano e dal Servizio degli Affari Europei dell'Assemblea nazionale per il sito http://www.assemblee-nationale.fr/italiano/8db.asp#charte_env è la seguente: «Se la realizzazione di un danno nei confronti dell'ambiente, per quanto lo stato delle conoscenze scientifiche possa essere incerto, ne arrecasse un deterioramento grave e irreversibile, le autorità pubbliche garantiranno, in ragione del principio di precauzione e nell'ambito del loro raggio d'azione, l'applicazione delle procedure di valutazione dei rischi e l'adozione di provvedimenti provvisori e specifici al fine di ovviare al danno»).
Possiamo scorgere, ad una lettura attenta, le differenze; alcune non sono sostanziali (la “realizzazione incerta di un danno” del testo costituzionale, contro la “assenza di certezza” del codice), altre invece lo sono, soprattutto riguardo agli obblighi (ci si cura della “messa in opera di procedure di valutazione del rischio e dell'adozione di misure provvisorie e proporzionate nel testo costituzionale”, mentre per il codice “non si deve ritardare l'adozione di misure effettive e proporzionate”) ed ai destinatarî (le autorità pubbliche nel loro ambito di applicazioni, per la Carta, nessun destinatario preciso, per il codice), senza dimenticare alcuni elementi che sono presenti solo in uno dei due testi (il “costo economicamente accettabile, presente nel codice e assente nella Carta) Il curarsi della “messa in opera di procedure di valutazione del rischio e dell'adozione di misure provvisorie e proporzionate nel testo costituzionale”(Carta), non è la stessa cosa che “non ritardare l'adozione di misure effettive e proporzionate” (Cod. amb.), così come l'allusione alle autorità pubbliche nel rispetto delle competenze (Carta) differisce da un obbligo senza destinatari precisi (Cod. amb.). Infine, bisogna domandarsi se l'assenza di riferimenti al “costo economicamente accettabile” della Carta costituzionale abbia un significato autonomo o si debba intendere alla luce dell'art. 6 («Le politiche pubbliche devono promuovere uno sviluppo sostenibile. A tale effetto esse conciliano la protezione e la valorizzazione dell'ambiente, lo sviluppo economico ed il progresso sociale»), il quale tuttavia non è espressamente legato al principio di precauzione.
Come, insomma, si sarà compreso, il problema ruota intorno alla seguente questione fondamentale: un concetto fluido, in quanto teleologico, finalista, può integrarsi all'interno di una gerarchia (di norme)?
In altri termini, come collocare in una gerarchia un principio che non ha contenuto, o ha un contenuto precisato solo in minima parte? Si può rispondere, a tale domanda, affermando che un principio (agire con precauzione, essere prudente), a volte financo un mero punto di riferimento morale, abbia valore legislativo (Codice dell'ambiente) o costituzionale (Carta costituzionale per l'ambiente) senza però avere un reale effetto giuridico, in quanto non possiamo delimitarne precisamente l'estensione di tale valore.
Il fatto è che il soft law, come la nostra chiave in caucciù, se pure può avere la forma (o il valore, in diritto) del diritto rigido, come la nostra serratura metallica, non può tuttavia produrre gli effetti di una chiave in metallo, vale a dire avere la portata di una regola rigida.
Tale necessaria trasformazione da soft a “rigido” costituisce e costituirà, per i grandi principî ambientali, una costante e reale difficoltà.
Un rapporto sulla valutazione della operatività dell'art. 5 della Carta dell'ambiente relativo all'applicazione del principio di precauzione è stato reso pubblico il primo giugno 2010, in occasione di un seminario parlamentare organizzato dal Comitato di valutazione e di controllo delle politiche pubbliche dell'Assemblea nazionale. Questo rapporto d'étape, condotto dai Deputati Alain Giest e Philippe Tourtelier sotto esortazione del Comitato, è servito da base al dibattito del seminario che ha riunito personalità provenienti da differenti orizzonti (filosofi, giuristi, Consiglieri di Stato, Universitarî, etc.). Le relazioni e gli interventi del seminario condussero tutte alla stessa conclusione, affermando segnatamente la necessità di un nuovo “testo di precisione”. Questo testo, che potrebbe prendere la forma di una legge organica diretta a precisare le condizioni di applicazione della Costituzione, dovrebbe insistere sulla necessaria “proporzionalità” e sul carattere provvisorio delle misure di precauzione, nell'obbiettivo di non “sopravvalutare il dubbio”, bloccando, per altro verso, l'innovazione ed il progresso scientifico.
Questa imprecisione semantica del principio di precauzione è stata aggravata dalla consacrazione, paradossalmente, al suo più alto grado nella gerarchia delle norme?
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* Il testo riproduce il contenuto della Lectio magistralis tenuta il 22 marzo 2013 all'Università degli Studi “Roma Tre” (Dipartimento di Giurisprudenza) ed è stato tradotto e rivisto da GIULIANO SERGES, al quale vanno altresì attribuite le note precedute dalla sigla NDT. A tal riguardo, si deve precisare che in alcuni casi si è preferito non rendere in lingua italiana talune espressioni richiamate in nota e tratte dai lavori di altri Autori poiché, se da un lato tali citazioni non sono state ritenute coessenziali alla comprensione globale del testo, dall'altro si è voluto evitare che un “eccesso di traduzione” non consentisse al Lettore di cogliere il reale significato dell'espressione. Allo stesso modo talvolta non è stato tradotto il nome di alcune delle Istituzioni della Repubblica Francese richiamate nel testo (ad esempio: Conseil d'Etat o Conseil Constitutionnel), in questo caso per non incorrere nel rischio di indurre in confusione chi legge tra il soggetto francese e l'omologo (o omonimo) italiano.